Dernière mise à jour
2024-05-09
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Johann Sebastian Bach Carella Pau Casals Christian Ferdinand Abel Corda Mario Brunello Mstislav Rostropovich Mischa Maisky Robert Schumann Leopold Godowsky 1631 1717 1720 1723 1759 1910 1914 1923
Bach - Suite n. 5 in Do minore, BWV 1011 (Date: 1717/1723) For Classical Guitar Arranged by Domenico Carella 0:00 Prelude 5:55 Allemande 19:23 Courante 11:28 Sarabande 14:07 Gavotte I & 16:31 Gavotte II (retourn 17:59 Gavotte I) 19:14 Gigue Le Sei suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach sono tra le più note e più virtuosistiche opere scritte per violoncello, e si ritiene generalmente che sia stato Pau Casals a dare loro fama[4][5][6]. Furono scritte fra il 1717 e il 1723 presumibilmente per uno dei violoncellisti che all'epoca lavoravano alla corte di Köthen[7], ma vi sono anche ragioni per supporre che le ultime suites siano state concepite indipendentemente, forse per strumenti diversi dal violoncello[7]. Furono probabilmente composte nel periodo 1717–1723, quando Bach fu kapellmeister a Köthen; l'uniformità e la coerenza di queste opere suggerisce che possano essere state concepite insieme o consequenzialmente, presumibilmente per uno dei violoncellisti di Köthen, come Christian Bernhard Linigke[7] o Christian Ferdinand Abel, assai più noto come gambista[8]. È impossibile stabilire una esatta e precisa cronologia delle suites, non vi sono dati certi riguardo all'ordine con cui furono concepite e/o se fossero state scritte prima o dopo le Sonate e partite per violino solo. In ogni caso, gli studiosi – basandosi su un'analisi comparata degli stili di queste diverse opere – ritengono che le suites per violoncello furono scritte per prime, datandole prima del 1720, l'anno indicato sulla copertina della copia autografa di Johann Sebastian Bach delle Sonate e partite per violino solo.[1][9][10] Queste opere sono particolarmente significative nella storia degli strumenti ad arco: mentre fino al tempo di Bach era consuetudine che il violoncello suonasse parti di accompagnamento e le parti più melodiche nello stesso registro venivano affidate a strumenti della famiglia della viola da gamba, in queste suites, come in parti dei concerti brandeburghesi, al violoncello è affidata una parte da solo. Si può ritenere Bach un innovatore che favorisce il soppianto della viola da gamba, ma alcuni suppongono anche che sia probabile che Bach avrebbe fatto questo perché si trovò in difficoltà nel dare parti virtuosistiche alla viola da gamba.[11] Infatti il principe Leopoldo di Anhalt-Köthen, presso cui lavorava in quel momento, era un gambista e suonava le opere di Bach, ma non era un particolare virtuoso, sicché potrebbe essere risultato difficile dare alla viola da gamba parti complicate, quindi Bach, non avendo la possibilità di scrivere parti complesse per la viola da gamba, avrebbe scritto opere più ambiziose per il violoncello.[11][12] Le suites sono di sei movimenti con la seguente struttura: 1. Preludio 2.Allemanda 3.Corrente 4.Sarabanda 5.Una danza galante – (Minuetti nelle suites 1 e 2, Bourrées nella 3 e 4, Gavot nella 5 e 6) 6.Giga Suite n. 5 in do minore, BWV 1011: Questa suite, in do minore, ha la particolarità di essere stata scritta in scordatura, con la corda più acuta abbassata di un tono rispetto all'accordatura convenzionale a quinte (da la a sol), ma risulta comunque possibile suonarla con l'accordatura standard, così molti accordi diventano più complicati, ma allo stesso modo si semplificano le linee melodiche. Bach non usò mai la scordatura se non solo in questa suite, questo non per facilitare l'esecuzione, che anzi diverrebbe in certi punti più difficoltosa, ma probabilmente per aumentare la risonanza acustica delle note sullo strumento (Sol, la nota cui è accordata la prima corda, è infatti la dominante di do minore) e dare un carattere timbricamente più scuro alla suite.[7][47] Un manoscritto autografo di Bach della versione per liuto di questa suite esiste come BWV 995[48][4 Mario Brunello, per ovviare a questo problema, nella sua ultima registrazione delle suites ha cambiato l'accordatura del suo strumento abbassandola di due toni (cioè Fa- Si♭-Mi♭-La♭ anziché La-Re-Sol-Do).[35] In molte interpretazioni, la suite è caratterizzata da un carattere tormentato[46],a tratti cupo e malinconico (fra cui, ad esempio, Pau Casals, Mstislav Rostropovich, Mischa Maisky)[5]. Sono state fatte trascrizioni delle suites per numerosi strumenti, fra cui viola, contrabbasso, viola da gamba, mandolino, pianoforte, clavicembalo, marimba, chitarra classica, basso elettrico, ukulele, flauto dolce, corno francese, sassofono, clarinetto basso, fagotto, tromba, trombone, euphonium e tuba.[4][52][53] Fra i tentativi di comporre un accompagnamento pianistico alle suites si annovera un notevole lavoro da parte di Robert Schumann, mentre nel 1923 Leopold Godowsky arrangiò le suites 2, 3 e 5 in contrappunto per pianoforte solo. Wikipedia
Johann Sebastian Bach Carella Pau Casals Christian Ferdinand Abel Corda Mario Brunello Mstislav Rostropovich Mischa Maisky Crome Robert Schumann Leopold Godowsky Scala 1010 1651 1717 1720 1723 1726 1839 1910 1923
Bach - Suite n. 4 in Mi bemolle Maggiore, BWV 1010 (Date: 1717/1723) For Classical Guitar Arranged by Domenico Carella Prélude 00:00 Allemande 03:52 Courante 07:16 Sarabande 10:16 Bourrée I - 14:34 and Bourrée II - (16:51) retourn to the Bourrée I - (17:26) Gigue - 18:39 Le Sei suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach sono tra le più note e più virtuosistiche opere scritte per violoncello, e si ritiene generalmente che sia stato Pau Casals a dare loro fama[4][5][6]. Furono scritte fra il 1717 e il 1723 presumibilmente per uno dei violoncellisti che all'epoca lavoravano alla corte di Köthen[7], ma vi sono anche ragioni per supporre che le ultime suites siano state concepite indipendentemente, forse per strumenti diversi dal violoncello[7]. Furono probabilmente composte nel periodo 1717–1723, quando Bach fu kapellmeister a Köthen; l'uniformità e la coerenza di queste opere suggerisce che possano essere state concepite insieme o consequenzialmente, presumibilmente per uno dei violoncellisti di Köthen, come Christian Bernhard Linigke[7] o Christian Ferdinand Abel, assai più noto come gambista[8]. È impossibile stabilire una esatta e precisa cronologia delle suites, non vi sono dati certi riguardo all'ordine con cui furono concepite e/o se fossero state scritte prima o dopo le Sonate e partite per violino solo. In ogni caso, gli studiosi – basandosi su un'analisi comparata degli stili di queste diverse opere – ritengono che le suites per violoncello furono scritte per prime, datandole prima del 1720, l'anno indicato sulla copertina della copia autografa di Johann Sebastian Bach delle Sonate e partite per violino solo.[1][9][10] Queste opere sono particolarmente significative nella storia degli strumenti ad arco: mentre fino al tempo di Bach era consuetudine che il violoncello suonasse parti di accompagnamento e le parti più melodiche nello stesso registro venivano affidate a strumenti della famiglia della viola da gamba, in queste suites, come in parti dei concerti brandeburghesi, al violoncello è affidata una parte da solo. Si può ritenere Bach un innovatore che favorisce il soppianto della viola da gamba, ma alcuni suppongono anche che sia probabile che Bach avrebbe fatto questo perché si trovò in difficoltà nel dare parti virtuosistiche alla viola da gamba.[11] Infatti il principe Leopoldo di Anhalt-Köthen, presso cui lavorava in quel momento, era un gambista e suonava le opere di Bach, ma non era un particolare virtuoso, sicché potrebbe essere risultato difficile dare alla viola da gamba parti complicate, quindi Bach, non avendo la possibilità di scrivere parti complesse per la viola da gamba, avrebbe scritto opere più ambiziose per il violoncello.[11][12] Le suites sono di sei movimenti con la seguente struttura: 1. Preludio 2.Allemanda 3.Corrente 4.Sarabanda 5.Una danza galante – (Minuetti nelle suites 1 e 2, Bourrées nella 3 e 4, Gavot nella 5 e 6) 6.Giga Suite n. 4 in Mi bemolle Maggiore, BWV 1010: La quarta suite è una delle suites per violoncello solo tecnicamente più complesse per l'intonazione e per la presenza di numerosi allargamenti e cambi di posizione; il risultato infatti può risultare più scarno rispetto alle altre suites per la scarsa risonanza acustica sullo strumento, propria della tonalità di Mi bemolle Maggiore sul violoncello, poiché nessuna corda del violoncello è fra i gradi più importanti (tonica, sottodominante, dominante) della scala di Mi bemolle, differentemente dalle scale delle altre suites. Mario Brunello, per ovviare a questo problema, nella sua ultima registrazione delle suites ha cambiato l'accordatura del suo strumento abbassandola di due toni (cioè Fa- Si♭-Mi♭-La♭ anziché La-Re-Sol-Do).[35] In molte interpretazioni, la suite è caratterizzata da un carattere tormentato[46],a tratti cupo e malinconico (fra cui, ad esempio, Pau Casals, Mstislav Rostropovich, Mischa Maisky)[5]. Il Preludio inizia con delle crome che impongono movimenti fra corde distanti fra loro che poi lasciano spazio ad una cadenza per poi ritornare al tema iniziale. Su questo preludio Pau Casals, insegnandone l'esecuzione e l'interpretazione ai suoi allievi, paragonava il suono delle crome all'effetto prodotto dai pedali di un grande organo.[5] Sono state fatte trascrizioni delle suites per numerosi strumenti, fra cui viola, contrabbasso, viola da gamba, mandolino, pianoforte, clavicembalo, marimba, chitarra classica, basso elettrico, ukulele, flauto dolce, corno francese, sassofono, clarinetto basso, fagotto, tromba, trombone, euphonium e tuba.[4][52][53] Fra i tentativi di comporre un accompagnamento pianistico alle suites si annovera un notevole lavoro da parte di Robert Schumann, mentre nel 1923 Leopold Godowsky arrangiò le suites 2, 3 e 5 in contrappunto per pianoforte solo. Wikipedia
Roberta Invernizzi Antonio Vivaldi Fabio Bonizzoni 2012
Provided to YouTube by NAXOS of America Tito Manlio, RV 738, Act II: Aria: Combatta un gentil cor · Roberta Invernizzi Vivaldi: Opera Arias ℗ 2012 Glossa Released on: 2012-05-01 Artist: Roberta Invernizzi Conductor: Fabio Bonizzoni Ensemble: Risonanza, La Composer: Antonio Vivaldi Auto-generated by YouTube.
Nella Anfuso Potenza Erede Giunta Cotogni Ricci Guadagni Amo Testi Monteverdi Caccini Peri Cari Scala 1967 1972
L’infinita potenza di questo canto perfetto, crea davanti ai nostri sensi l’universo intero, svela la pura essenza del divino. Nella Anfuso è l'ultima erede della grande Scuola Italiana di Canto che è fiorita in Italia nell'età della Rinascenza e che, nonostante il Romanticismo e soprattutto il verismo, è giunta intatta nella Scuola del Cotogni e di Guglielmina Rosati Ricci, Maestra di Nella Anfuso a Firenze negli anni 1967-1972. Nella Anfuso, insigne ricercatrice e musicologa, ha contemporaneamente ritrovato i documenti storici del Canto Italiano che illuminano teoricamente la tradizione vocale di cui Nella Anfuso è oggi unanimamente considerata "UNICA RAPPRESENTANTE" . La critica internazionale l'ha definita la "grande Sacerdotessa del Canto Italiano" ed in effetti il Canto è concepito e praticato da Nella Anfuso come Arte e non come professione per più o meno lauti guadagni e più o meno piccola gloria momentanea. Nella Anfuso fa ascoltare i capolavori musicali della grande civiltà italiana con lo strumento vocale perfetto creato nell'epoca più grande dell' Italia. Tutte le sue registrazioni sono dei veri documenti artistici e storici e rimarranno come pietre miliari per i posteri. Nella Anfuso domina dall'alto della sua ineguagliabile virtuosità, del suo ineguagliabile temperamento di interprete, della sua ineguagliabile conoscenza storica, tecnica ed estetica, della sua ineguagliabile bellezza vocale il mondo contemporaneo di divi e divetti dello star-system e dello show-business discografico. Domanda: Nella, amo il Petrarca e possiedo tutte le tue registrazioni con i testi di Petrarca, e anche i tuoi Monteverdi e Caccini e i toscani del disco che è stato presentato alla Scala (ti ricordi? ero emozionantissimo in prima fila). Come declami tu Petrarca non c’è nessuno oggi né attore né cantante. Sei sublime! Perché non registri un disco di poesie con la tua bella voce parlata? Mi vuoi dire se c’è una differenza fra il declamato parlato e cantato? tuo seguace da sempre Carlo Andrea Ricci Risposta: mio caro “seguace”: grazie per quello che dici. Ti rispondo con le parole di Platone (Repubblica): “fra la parola parlata e la parola cantata non c’è differenza”. È questa la frase che sta alla base della estetica della Seconda Pratica dei Peri, Caccini, Monteverdi e tanti altri grandi autori della stessa epoca. È il momento in cui maturano in ambito musicale i frutti del platonismo fiorentino. Ecco il predomino della parola e la sua libertà nella pronuncia (la sprezzatura), ecco il musicista che segue le intonazioni musicali della parola da cui la necessità del cantore di essere eccelso anche nella declamazione poetica. Se non si è maestri nella declamazione poetica non si potrà mai realizzare musicalmente la Seconda Pratica, lo stile rappresentativo (nel significato di rappresentazione delle passioni umane e NON di presenza sulla scena-Caccini lo dice chiaramente-). Ancora nel Settecento i grandi teorici raccomandavano lo studio e la pratica della declamazione poetica a voce alta per ben realizzare i recitativi (che oggi vengono strascicati cantando -sic!): Ed io nei lontani anni dello studio ho molto approfondito e praticato studiato la declamazione parlata della poesia. Del resto la prima interprete dell’Arianna è stata una attrice – cantatrice (scelta appositamente da Monteverdi, il quale aveva a disposizione in Italia le migliori cantatrici del mondo). Gli attori oggi purtroppo non studiano più, come si dovrebbe, lo studio della declamazione poetica che richiede: molto fiato, risonanza superiore e voce quindi pura e sonora, conoscenza del tempo naturale fonetico delle sillabe e delle consonanti che permette il fluire naturale dei tempi della pronuncia. Come vedi la declamazione di un Petrarca parlato o cantato (Seconda Pratica) segue la stessa impronta basilare. Cari saluti Nella Anfuso Si consiglia la visione su grande schermo (TV).